In occasione della mostra “Follow the Rabbit”
Milano, 13.01.2024 – 16.02.2024
Attratta dalle qualità materiche di mezzi e strumenti espressivi, Antonella Lambardi inizia la sua ricerca, lavorando in un negozio di Belle Arti. Come un’abile artigiana di bottega, sperimenta con entusiasmo le molteplici potenzialità del fare con le proprie mani. Inizialmente si focalizza sulla realizzazione di complementi d’arredo, oggetti come specchi e cornici, privilegiando l’idea di donare nuova vita a quegli elementi di recupero che, in natura, catalizzano maggiormente la sua attenzione: frammenti di conchiglie, legni erosi dall’acqua, vetri o sassi levigati dal tempo. Luci e opacità si alternano in una successione di effetti “sbrillucicosi” che mixano, con gusto, il naturale con l’artificiale. Queste composizioni mettono in risalto, fin da subito, “la volontà amorevole” di un atto quasi riparatorio, che intreccia passato e presente, eseguito con una ritualità ritmica e cadenzata, che diventerà la cifra distintiva di tutto il lavoro futuro dell’artista. Lei stessa descrive il suo fare come… un paziente esercizio di positività, come esplicita condivisione di un viaggio interiore, che parte dalla suggestione di una singola immagine, si arricchisce strada facendo, in modo eclettico, calamitando tanti altri riferimenti simbolici, per approdare a una meta, che si palesa nella sua vera essenza soltanto alla fine. Come i titoli delle opere, ermetici, mai scontati: “Al Bar 8toni” , “Inside”, “ Let’s play”, “Skipping school”, “Love 4 AL..L!!”, “Le feste comandate” “Sunday Afternoon” etc.
I lavori successivi, infatti, evolvono verso una sorta di narrazione fantastica, la rappresentazione di una serie di “reverie interiori”, composte con minuziosità calligrafica, attraverso l’uso dell’assemblaggio materico. Una pittura per piccoli frammenti, tasselli di un puzzle apparentemente sconnessi, affiancati e addizionati via via, nel corso del racconto, che prende forma autonoma, attorno all’atto del creare, per dare valore al ricordo, al sogno, all’emozione e anche un po’ alla nostalgia di un tempo sospeso. I temi ricorrenti vanno ricercati nelle romantiche atmosfere vittoriane, quelle descritte nei romanzi di Conan Doyle e H. G. Wells, nei viaggi fantascientifici alla Jules Verne, con un occhio di riguardo per il genere “steampunk”, dove la tecnologia anacronistica s’inserisce all’interno di un’ambientazione storica da XIX secolo. Emblematica la scelta di alcune immagini-simbolo che delineano un paesaggio immaginario, stupefacente e articolato, che risulta il vero protagonista di tutte le opere di Antonella Lambardi. Guardando i suoi lavori viene in mente Hieronymus Bosch, il geniale maestro fiammingo che, con le sue stupefacenti visioni, ci ha insegnato come infrangere le dimensioni spaziali del reale. Porzioni di elementi architettonici, di ornati antichi, che sopravvivono tra basse casette di qualche villaggio operaio, delle buie periferie di una Londra fine Ottocento. Agglomerati di mattoni rossi, di tetti spioventi, che sfidano la razionalità geometrica e si affastellano in disordine, disseminati di antri in cui è facile perdersi e poi, magari, ritrovarsi, con una certa grazia. Porte, portoni, balaustre, ringhiere, piccole finestre appena socchiuse o schermate da leziose tendine, formano una specie di labirinto incantato, che si articola in un gioco ottico dei confini immaginari, tra il confortevole tepore accogliente delle stufe negli interni e il freddo intenso, misterioso e avvolgente della notte, appena rischiarato dalla luna. Comignoli fumanti si stagliano nel cielo quasi sempre cupo, invernale, nordico, intervallati da qualche antenna solitaria, da filari di panni stesi ad asciugare. La presenza umana è solo suggerita, evocata da esili scale pericolanti, sconnesse, ma che tuttavia conducono altrove, che traghettano le aspirazioni umane verso dimensioni superiori… Un anelito di libertà, ma anche di conoscenza.
Tra i soggetti animati troviamo orsetti, conigli e gatti, animali umanizzati, compagni inseparabili di tanti bambini nelle avventure immaginate, nelle filastrocche antiche, così come nei trastulli della realtà quotidiana. Onnipresente è il tema del gioco infantile, in un susseguirsi di rimandi emotivi, che intrecciano il vissuto personale dell’artista con la percezione, quasi idealizzata, di un microcosmo-rifugio, fatto di poesia e delicatezza, come sintesi perfetta di un innocente incanto. Non siamo però al cospetto di un rassicurante scenario alla “Hollie & Hobbie, quello che degli anni ’80 tanto faceva impazzire i bimbi di tutto il mondo, con i suoi famosi diari, gli album di figurine e i bigliettini d’auguri. Il diario narrativo della Lambardi è altra cosa, schiva decisamente la semplificazione dei luoghi comuni, dei sentimenti a buon mercato, per arricchirsi di dettagli sorprendenti, che prendono vita divenendo, essi stessi, personaggi, capaci di guidare lo spettatore verso un’introspezione profonda. C’è lo scorrere inesorabile del tempo, con ritagli di calendari cinesi e sferici orologi, con i loro magici ingranaggi, che scandiscono le ore. C’è il tema del viaggio evocato da iconiche automobili, sempre in marcia verso una nuova avventura, suggerito da bussole e mappe, accompagnato da capienti valigie di pelle, cartoline, francobolli e ricordi di vecchi itinerari, resuscitati dal cassetto della memoria. Un bagaglio emozionale ricco, variegato che, come un rebus a tappe, si rifà alle nostre radici autentiche, all’ABC del sapere, ai quaderni a righe grandi, alla nostalgia di quella fanciullezza, fatta di gessetti sulla lavagna, di giochi/apprendimenti, di scoperte e sogni immaginifici fatti a occhi spalancati sul futuro. A evocarli, qualche foto dell’artista in compagnia dei suoi giocattoli preferiti. Un mondo fiabesco, epurato da facili sdolcinature, decostruito nelle sue antiche trame e decodificato in un nuovo assunto: quello della piena consapevolezza di sé e del mondo.
Lettere e numeri, segni grafici in piena libertà, il sillabare di qualche parola compiuta: mosaici di una cabala dove il gioco degli scacchi e quello delle carte, preludono e scandiscono il gioco della vita, sempre in bilico tra prevedibilità matematica e premonizione mistica. Se solo riuscissimo veramente a comprendere “il quanto e il cosa”, ovvero il carico che la nostra stessa esistenza, è in grado di contenere, forse vivremmo i nostri giorni con più intensità e gioia. E’ questo il messaggio racchiuso nelle interessanti opere di Antonella Lambardi, da osservare con cura, nel silenzio, senza fretta, per cogliere il sussurro di un suono, l’eco di una melodia compositiva di forte impatto visivo.